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Into the Wild

Regia: Sean Penn

Soggetto: dal romanzo di Jon Krakauer “Nelle terre selvagge”

Sceneggiatura: Sean Penn

Interpretato da: Emile Hirsch, Marcia Gay Harden, William Hurt, Jena Malone, Vince Vaughn, Kristen Stewart, Jena Malone

Direttore della fotografia: Éric Gautier

Musiche originali: Eddie Vedder, Michael Brook, Kaki King

Producers: Art Linson, Sean Penn, William Pohlad

Genere: drammatico, on the road

Anno: 2007, USA

Voto: 9

into_the_wild.jpgChristopher McCandless (Hirsch) è un brillante ragazzo della West Virginia. Il suo rigido codice morale, però, gli fa odiare la società contemporanea e le sue ipocrisie, e lo spinge ad una scelta radicale subito dopo la laurea: abbandonare i comfort e le certezze della sua agiata esistenza e girare gli Stati Uniti senza soldi e senza un percorso preciso, eccezion fatta per la meta finale: l’Alaska. Tagliando i rapporti con i conformisti genitori, Walt (Hurt) e Billie (Harden), ma anche con l’amata sorella Carine (Malone). Devolve in beneficienza il suo conto di 24mila dollari, si dà un nuovo nome, Alex Supertramp, e durante il suo girovagare incontra molta gente interessante (hippies, agricoltori non convenzionali, svampiti ragazzi scandinavi in cerca del loro personale sogno americano, violenti vigilantes, ecc.), e si ingegna in lavori sempre diversi per sbarcare il lunario ed avvicinarsi alla nordica meta.

Tratto da una vera storia di ribellione radicale: il rifiuto totale delle basi della società attuale: il denaro, la carriera, la stanzialità. E forse anche della socialità. L’obiettivo di McCandless infatti è la solitudine, la riscoperta dell’Io più ancestrale e forse più solitario. Sean Penn dipinge magistralmente (il regista evita sia il banale  che la facile retorica) questo antieroe dividendo il film in cinque capitoli, ognuno dei quali rappresenta un nuovo livello di consapevolezza e conoscenza del protagonista. La grandezza del personaggio è che non smette mai di imparare, di assimilare dagli altri, di imparare dai suoi sbagli. Il drammatico finale è la rivelazione più estrema, che solo apparentemente va contro tutti i suoi principi, ma in realtà non fa altro che elevarli, ancora una volta, ad un livello superiore.

Il film è stato escluso ignobilmente dagli Oscar (solo due nomination: miglior montaggio e attore non protagonista), e la scena dello scuoiamento dell’alce ha scatenato polemiche tra gli ambientalisti (eppure è un film elegia dell’ambiente e antimodernista): piccoli uomini che non si può pretendere capiscano un grande film. Immagini splendide, di un’America vera e profonda, e a volte sconosciuta (come la comunità di Slab City).

“Non si può negare che andare liberi senza meta da sempre ci rende euforici, ha a che fare con l’idea della fuga dalla storia, dall’oppressione, dalla legge, dalla noia degli obblighi… Libertà assoluta…  E la strada porta sempre a Ovest”


Paranormal activity

Regia: Oren Peli

Scritto da: Oren Peli

Interpretato da: Katie Featherston, Micah Sloat, Mark Fredrichs, Amber Armstrong

Direttore della fotografia: Oren Peli

Producer: Oren Peli

Genere: horror

Anno: 2007, USA

Voto: 6,5

paranormal-activity_locandina.jpgKatie (Featherston) convive dall’età di otto anni con strani fenomeni paranormali che si verificano di tanto in tanto. Il suo fidanzato Micah (Sloat), che sta con lei da tre anni, compra una telecamera che posiziona in giro per la casa per cercare di capire, dalle immagini, cosa accada davvero per reagire in modo adeguato. Ma i fenomeni iniziano ad aumentare di numero e di intensità…

Interessante horror minimalista, che sulla scia di The Blair Witch Project è stato girato come un falso documentario, e presentato con un’operazione di marketing ben calibrata. La carica di tensione è nelle atmosfere, più che nel make-up e negli effetti speciali: la paura deve nascere nella mente degli spettatori stessi. Ed è in effetti una scelta vincente: è un film che mette a disagio, perché l’ambientazione è una casa come tutte le altre, i due protagonisti sono ragazzi come tanti, acqua e sapone, simpatici e carini (ma non bellissimi). Il fatto che l’orrore possa accadere in luoghi così familiari, questo è lo “spaventoso”.

Girato con soli 15mila dollari, è stato bocciato senza prove d’appello dalla critica italiana (da Il Giornale a L’Unità), che non si è riuscita a capacitare dei motivi di cotanto successo di pubblico, e si è lanciata in incredibili sproloqui sociologici sull’americano medio. Basterebbe solo tener presente che il cinema è anche svago, e un’oretta di adrenalina senza troppe pretese può essere, semplicemente, piacevole. Troppo complicato da capire per un giornalista italiano? La stessa critica italica è quella che osanna spesso italiche rotture di scatole di dimensioni inenarrabili. Se il cinema seguisse i dettami della critica italiana il termine “pizza” non sarebbe definito alle bobine o a cosa fare dopo il cinema, ma al durante. O forse alla critica nostrana dà fastidio il marketing che gli americani studiano per ogni film? Ma l’essere ignoranti in marketing cinematografico non può essere certo definito un pregio dell’industria filmica italiana, abituata a vivere di sussidi statali con una marea di prodotti assolutamente senza mercato internazionale (e a volte neanche interno). Nello Stivale un “Paranormal activity” non nascerà mai: davvero sicuri che sia meglio così?

“Forse non dovremmo avere la telecamera”


Io sono leggenda

Titolo originale: I am legend

Regia: Francis Lawrence

Soggetto: dal racconto di Richard Matheson

Sceneggiatura: Mark Protosevich, Akiva Goldsman

Interpretato da: Will Smith, Alice Braga, Dash Mihok, Charlie Tahan, Salli Richardson

Direttore della fotografia: Andrew Lesnie

Musiche originali: James Newton Howard

Producers: Akiva Goldsman, David Heyman, James Lassiter, Neal H. Moritz

Genere: apocalittico

Anno: 2007, USA     Distribuzione: Warner Bros

Voto: 5,5

io_sono_leggenda_locandina.jpgLo scienziato militare Robert Neville (Smith) è rimasto l’unico sopravvissuto ad una grande epidemia, che ha sconvolto il pianeta, trasmessasi per via di un vaccino contro il cancro non testato adeguatamente. A fargli compagnia, la sua cagnetta e dei manichini che utilizza per conversare in modo da sentirsi meno solo. Di giorno, tra un vagabondaggio e l’altro in una New York City deserta per procurarsi generi di conforto, cerca di trovare una cura facendo esperimenti per trovare un siero. A partire dal tramonto, vive barricato in casa: il virus ha infatti trasformato alcuni esseri umani in bestie notturne e sanguinarie, che attraverso il loro morso si rendono anch’essi veicoli di contagio.

E’ la terza versione cinematografica del racconto di Richard Matheson, la meno fedele e la meno bella. Scenograficamente davvero impeccabile, nella sceneggiatura e nella regia è mancato l’inquadramento del tema centrale dell’opera letteraria: chi sia il mostro, se le creature notturne o l’unico sopravvissuto. Mentre nel libro (e nelle altre due versioni su pellicola) infatti, alcuni tra i contagiati iniziano a fondare una nuova società, minacciata dal superstite umano, qui i contagiati non sono altro che animali affamati, con nessuna (o qualcuna appena accennata) facoltà cognitiva. Se alla fine non fosse stato scritto, nei titoli di coda, che la pellicola era basata sul racconto di Matheson, il lavoro sarebbe stato anche gradevole. Ma “vantarsi” di aver basato in film su un libro che non si è compreso (o a questo punto sorge il dubbio: neanche letto?) non è ammissibile.

Will Smith supera comunque abbondantemente il difficile esame di unico protagonista, pur difettando dell’ironia di Charlton Heston in 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra, e riesce a reggere il film da solo senza stancare, contribuendo ad aumentare la particolare atmosfera colma di tristezza di una città deserta (la sua performance ha fatto guadagnare un mezzo punticino in più sul voto finale). Cameo di Emma Thompson all’inizio del film.

“La de-evoluzione sociale sembra completa: i tipici comportamenti umani ormai sono del tutto assenti”


Le cronache dei morti viventi

Titolo originale: Diary of the Dead

Regia: George A. Romero

Scritto da: George A. Romero

Interpretato da: Michelle Morgan, Joshua Close, Shawn Roberts, Amy Ciupak Lalonde, Joe Dinicol, Scott Wentworth

Direttore della fotografia: Adam Swica

Musiche originali: Norman Orenstein

Producers: Sam Englebardt, Peter Grunwald, Ara Katz, Art Spigel

Genere: horror

Anno: 2007, USA

Voto: 6,5

Improvvisamente i morti iniziano a rianimarsi come zombies affamati di carne umana. Il tutto avviene mentre un gruppo di otto studenti di cinema dell’Università della Pennsylvania, insieme al loro professore Maxwell (Wentworth), visionario e alcolizzato, stanno girando nei boschi un film dell’orrore per un progetto di studi ideato da uno di loro, Jason (Close). Jason cercherà di documentare le fasi dell’epidemia con ogni mezzo, dalle cineprese professionali a quelle amatoriali, dalle videocamere dei telefonini ai video di sorveglianza hackerati per l’occasione, per lasciarne una traccia ai posteri. Lui e tutti gli altri dovranno però anche cercare di sopravvivere. E non sarà affatto facile.

Progetto indipendente di George A. Romero, quinto della sua saga sugli zombies, molto interessante sopratutto per quanto riguarda il montaggio. Lo scorrere della storia è hitchcockiano: sappiamo fin dall’inizio che ci sarà una brutta fine, e ad ogni scena sembra arrivato quel momento. Alcuni personaggi, come l’amish muto, sono paradossali ma calati perfettamente in quella realtà apocalittica, che vede crollare come un castello di carte tutti i miti della società contemporanea: l’informazione, la politica, i rapporti umani.

Avrebbe meritato un 7, se non fosse che la morale della scena finale appare leggermente fuori contesto. Non perché il film sia privo di denuncia sociale, anzi, ne è intriso, ma essa è implicita: nel senso che è un qualcosa che gli spettatori ricavano da soli dallo scorrere del film, non appartiene ai protagonisti, che anzi agiscono ormai in un contesto amorale, dove saccheggio, furto e uccisione senza esitazione dei propri cari trasformatisi in zombies è quotidianità, e loro sembrano averla accettata (chiaramente loro malgrado). L’attribuire la morale conclusiva del film (peraltro sacrosanta e, per quanto mi riguarda, assolutamente condivisibile) alle frasi finali di uno dei protagonisti appare quindi un po’ forzato.

Prima erano Loro contro di Noi, ora siamo Noi contro di Loro…ma Loro siamo Noi


Grindhouse – Planet Terror

Regia: Robert Rodriguez

Scritto da: Robert Rodriguez

Interpretato da: Rose McGowan, Marley Shelton, Freddy Rodriguez, Josh Brolin, Bruce Willis, Carlos Gallardo, Quentin Tarantino, Tom Savini, Naveen Andrews

Direttore della fotografia: Robert Rodriguez

Musiche originali: Robert Rodriguez

Producers: Robert Rodriguez, Quentin Tarantino, Elizabeth Avellan

Genere: horror

Anno: 2007, USA     Distribuzione: 20th Century Fox

Voto: 6,5

Un regolamento di conti tra militari traditori, capitanati dal tenente Muldoon (Willis), e tra lo scienziato affarista Abby (Andrews) e i suoi scagnozzi fa disperdere nell’aria un agente patogeno, il DC-2, cosiddetto “progetto terrore”, ideato per sterminare popolazioni che vivono in aree senza sbocchi sul mare. Un vicino villaggio del Texas ne risente delle conseguenze: gli abitanti infettati si trasformano in zombi assassini e divoratori di carne umana. I pochi sopravvissuti, tra cui Cherry Darling (McGowan), che nell’attacco ha perso una gamba (con cosa la sostituirà?) e Wray (F.Rodriguez), cercano di salvarsi dal contagio e dai mostri.

Festa del cinema per Robert Rodriguez, che in questo suo capitolo del progetto Grindhouse (l’altro, A prova di morte, è di Quentin Tarantino), rende omaggio ai B-movies, specialmente horror (ma non solo), degli anni ’70. Gli stereotipi del genere sono aumentati all’ennesima potenza (compresa la recitazione degli attori, assurdamente – e volutamente – eccessiva per quanto riguarda l’espressività). Tom Savini, come ventott’anni prima in Zombie di George Romero si fa squartare in allegria. Dovrebbe essere un horror, ma chi ha visto tanti di quei film in passato non può non sorridere in continuazione, neanche fosse una commedia. Da sottolineare anche l’effetto “pellicola rovinata”, effettivamente… di grande effetto (come l’errore del proiezionista che la fa bruciare).

Il finto trailer iniziale, anche qui, che doveva prendere solo in giro gli stereotipi del genere, è poi diventato un vero film: Machete.

“Vado io… questo è go-go, non frigna-frigna”